Oggi è domenica. Giornata tranquilla, in casa, con qualche ora dedicata alla scrittura.
Eppure, anche oggi ho sempre avuto in mente qualcosa da fare. Progetti, un nuovo sito web, il prossimo post.
Devo riattivare la mia vita professionale, e sto cercando un compromesso tra i miei obiettivi personali e ciò che può essere considerato un lavoro.
Nell’ultimo anno e mezzo ho cercato di restaurare il mio essere. Ora è il momento di focalizzarmi sul fare.
Però, c’è una strana dicotomia, in ogni istante della nostra vita, non solo di domenica o di lunedì.
Nel momento in cui fai, in cui sei impegnato nell’intervenire sul mondo, anche se ti ricordi di essere te stesso, dove sei e cosa stai facendo, stai comunque rinunciando a buona parte del tuo semplice esserci, del contemplare, del gustare l’essere vivo. Il tempo non scorre; piuttosto, scappa.
Ma nel momento in cui metti in pausa il tuo agire, pur recuperando la tua piena integrità, perdi la tua identità nel mondo, la tua funzione, l’opportunità di raggiungere degli obiettivi.
Nella vita ti chiedono cosa fai. Nessuno ti chiede chi sei.
Interessa cosa puoi fare per gli altri, cosa puoi fare per la tua famiglia, come ti poni nel mondo, quali sono le tue capacità e come si trasformano in azione. Che opportunità e che minacce presenti.
Chi sei non interessa, se non molto relativamente e a poche persone. Ed è buffo, perché tutto dovrebbe partire da lì. L’unico modo per fare, realmente, è innanzitutto essere.
Quanti si dimenticano di essere. E fanno, in continuazione. Inutilmente. Pericolosamente. Frettolosamente. Distrattamente. Opportunisticamente. Irresponsabilmente. Associativamente.
Sapere di esserci, davvero, accade quando metti il tuo mondo in pausa e lo osservi anche senza giudicarlo, capisci dove ti trovi, nello spazio e nel tempo, e respiri.
Ma in questo fermare l’azione e lasciar scorrere il tempo viene a mancare il tuo intervento, la tua opera di trasformazione del visibile. Viene a mancare la tua identità nel mondo e la capacità di plasmare il tuo futuro, per quel che ti è concesso.
Sembra che io viva solo nell’attimo sospeso tra l’essere e il fare.
Facendo, ho bisogno di essere. Essendo, ho bisogno di fare.
Da un lato la quiete, la magia che mi consente di osservare allo stesso tempo l’istante e l’eternità, che mi consente di sapere chi sono, e dove vado.
Dall’altra l’azione, necessaria, ma che mi rende terribilmente mortale, vacuo e temporaneo.
È esattamente l’istante sospeso tra l’essere e il fare ciò di cui ho bisogno. Vorrei che la mia intera esistenza fosse fatta della materia di quegli istanti.
Senza, semplicemente, non sono nulla.